Ma ora i colossi puntano anche su navi medio-piccole
Angelo Roma- Se mi chiedo quale potrebbe essere il futuro del trasporto marittimo, questo sarebbe lo scenario: sarà un mondo in cui pochi armatori domineranno la scena globale e agiranno lungo l’intera catena logistica, competendo con i colossi delle spedizioni.Gli affari saranno condotti sempre più digitalmente e subiranno forti pressioni affinché i players siano sempre più trasparenti e adottino pratiche che salvaguardino l’ambiente. A questo proposito in un recentissimo rapporto, si evidenzia che per garantire che il trasporto marittimo possa raggiungere la sua “quarta rivoluzione della propulsione”, sarà necessario un importante aumento dei finanziamenti per la tecnologia e lo sviluppo nel settore marittimo.Gli ultimi dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia sulla ricerca e sviluppo dei privati nel settore marittimo rivela che la spesa in ricerca e sviluppo è scesa da 2,7 miliardi di dollari nel 2017 a 1,6 miliardi di dollari nel 2019.Gli armatori indirizzeranno le loro grandi navi verso i “porti hub” e ci sarà una grande crescita di navi feeder per la distribuzione ai porti più piccoli, forse un giorno in navi autonome (considerato che sono ancora in fase di sperimentazione, è molto probabile che in pochi anni le navi autonome diventino parte dell’ecosistema dei trasporti, fortemente incentivate dalla possibilità di riduzione dei costi e dalla difficoltà di assunzione di personale marittimo).La Zim lo scorso ottobre ha annunciato l’acquisizione, in operazioni separate, di sette navi di “seconda mano” per un totale di circa 320 milioni di dollari, al fine di completare la propria strategia di “chartering”. Si tratta di cinque navi da 4.250 teu e due navi da 1.100 teu. Inoltre, secondo quanto riportato da Tradewinds e ripreso da Dynaliners, la compagnia Msc starebbe trattando con un cantiere cinese per ottenere 10 unità “feeder” da 1.800 teus.La recente crisi logistica mondiale per la Pandemia ha messo in discussione la globalizzazione e la dipendenza dei mercati dalle forniture cinesi. Preoccupati per questa dipendenza, sono già molti gli studi e le iniziative per riportare la produzione a casa (“reshoring”) o quantomeno per avvicinare i fornitori (“nearshoring”), nel senso di “spostarsi in un Paese geograficamente non lontano”.I terminal, in genere controllati da multinazionali o armatori verticalizzati, dovranno rimanere in costante adattamento alle nuove navi e ai volumi di carico, con un uso sempre più intensivo dell’automazione.
Angelo Roma è vicepresidente dell’interporto Vespuccidi Guasticce