Le mani di Pechino sui porti europei
ROMA – Investimenti nelle infrastrutture ma non solo: con uno slalom tra i vecchi accordi del governo italiano con la Cina per la “Silk Road” – tra i pochi paesi europei che l’avevano sottoscritta – la marcia indietro dell’attuale governo con la ricerca di formule compensative, e il più recente intervento di Bruxelles contro l’importazione di auto elettriche cinesi.
Dunque così pericoloso intrattenere rapporti commerciali più parti con il colosso cinese?
L’UE sembra accorgersi adesso della penetrazione commerciale – definita “imperialismo strisciante” – della Cina nei gangli più importanti della logistica europea.
Eppure basta dare un’occhiata alla presenza della Cina, attraverso le proprie società più meno apposite dallo stato – nei porti più importanti d’Europa, per capire che forse qualcuno doveva svegliarsi prima.
Se in Italia le partecipazioni azionarie delle imprese logistiche cinesi si limita per adesso a Vado Ligure – peraltro con significativi investimenti – in Europa si tratta di ben altro peso: con il massimo (100%) nel porto greco del Pireo fino al 40% e simili sul Nord Atlantico.
L’utopia della libertà di commercio sui mari in questi casi sembra cozzare con un nuovo colonialismo economico.
Tutto sta vedere fino a che punto, visto che il fulcro della produzione mondiale si è ormai spostato verso il Far West, il gioco vale la candela.
E fino a quanto l’alternativa India che il governo italiano sta tentando sarà in grado di funzionare senza sconquassi.
(A.F.) La Gazzetta Marittima