Idrocarburi sotto nostri mari

Già nel 2019 la domanda mondiale di greggio, il principale idrocarburo energetico, è aumentata e con essa anche quella del gas. Si è assistito rispettivamente a un aumento dello 0,8% e dell’ 1,8% rispetto al 2018. Una variazione registrata anche in Italia e favorita dai prezzi del gas, più bassi nel 2019 rispetto all’anno precedente. Nel 2022 i consumi sono aumentati, mentre quest’anno sembrano stabilizzati. Ma estrarre gas e greggio continua ad essere fondamentale per l’attuale società e per quella del prossimo futuro.

Sebbene a livelli nettamente inferiori rispetto a paesi come Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita, anche in Italia sono attivi impianti di estrazione di petrolio e di gas naturale ed è importante non dismetterli: si trovano in particolare nei territori di 16 regioni, sia sulla terraferma che in mare e in buona parte sono stati aggiornati alle moderne tecniche, assai più pulite.

    Le riserve italiane sono intorno a 80milioni di tonnellate, ma ogni anno si scoprono altre riserve, sebbene a volte a profondità notevoli che rendono l’estrazione più costosa: costosa in termini economici, ma andrebbe anche considerato il vantaggio di non dipendere dal “capriccio” di fornitori esteri.

In particolare, gli impianti in mare sono stati al centro di un grande dibattito. Infatti, nel 2016 si è tenuto il referendum abrogativo per porre fine alle attività di estrazione di petrolio e gas naturale che avevano già ricevuto una concessione dal Ministero dello sviluppo economico e che potevano operare fino all’esaurimento naturale dei giacimenti. Il referendum riguardava unicamente gli impianti nelle zone di mare, entro le 12 miglia dalla costa. In quell’occasione vinse il “sì” all’abrogazione con l’85,85%.

Tuttavia il referendum non produsse effetti perché non aveva raggiunto il quorum necessario del 50% dei voti degli aventi diritto. Di conseguenza, gli impianti di estrazione degli idrocarburi in mare circa 200 secondo le stime ufficiali, sono tutt’ora in attività. In un quadro politico però molto contrastato, perché l’estrazione è effettivamente impattante per l’ambiente – sia pure molto meno di un tempo – ma l’esigenza di far fronte i consumi nazionali in tempi nei quali le forniture estere sono sempre più a rischio (e costose) sta imponendo scelte non sempre comprese